domenica 22 dicembre 2013

Il raffreddore di Babbo Natale

                                                  1

Forse non ci crederete...perché non vi è mai capitato. Ma sono sicura che se vi fosse capitato lo avreste voluto raccontare al mondo intero.
C’era una volta una bella casa, dove abitavano tre fratellini: Rubén, il più grande, che aveva sei anni ma ne dimostrava almeno sette. Chiara, che aveva cinque anni e un sorriso di cinque metri. E Francesco, il più piccolo, due anni ancora da compiere e un mucchio di marachelle già compiute. Tutte le sere, dopo cena, una volta lavati i denti e messi i pigiami, arrivava il papà con un libro sotto il braccio. Il libro lo sceglievano sempre loro. Come tutte le sere, Rubén diceva che la storia era brutta, o troppo da bambini, o troppo noiosa, ma alla fine era il più attento di tutti mentre la ascoltava. Come tutte le sere, Chiara si lamentava qualche minuto perché avrebbe preferito un libro diverso, per poi, durante la lettura, coprire di coccole il su fratellino, mettere nel lettino qualche bambola e addormentarsi con una ciocca di cappelli tra le dita. E come tutte le sere,  Francesco non era interessato al libro, ma soltanto alle coccole della sorella, o ai giocatoli, mentre gironzolava canterino per la stanza. Anche quella sera, il papà arrivò con la storia. Ma quella non era una sera qualunque, era la Vigilia di Natale. Anche il libro era speciale. Parlava di Babbo Natale, di un fantastico viaggio, di magia e di regali. Fuori dalla stanza c’era l’albero con le luci accese. La letterina, il latte, i biscotti e le carote erano pronti nel vassoio. Il papà spense la luce della stanza, accese la lampadina accanto al letto e si mise seduto per terra a piedi nudi. Aprì il libro e iniziò a leggere, con la sua voce calda e un po’ musicale che conciliava il sonno. Dopo il cenone, i tre fratelli avevano la pancia piena, erano stanchi e si addormentarono in fretta. Ma Rubén, che non dormiva mai profondamente, si svegliò dopo pochi minuti. Che sorpresa! Il libro era per terra, aperto, accanto alle ciabatte, ma... il papà non c’era! Lo chiamò piano diverse volte e, con quel po’ di paura che lo accompagna sempre, decise di svegliare Chiara e Francesco.
Una volta che tutti e tre furono ben svegli, andarono alla ricerca del papà. La casa era buia, ma con le luci colorate dell’albero accese si riusciva a vedere qualcosa. Il papà non era nella sua camera a dormire. Non era neanche nel bagno, e neppure nel salotto. Forse in cucina?. No. Non era nemmeno in cucina.
Tornarono nella stanza e  solo allora si accorsero che il libro che poco prima stava leggendo il papà, rimasto aperto sul pavimento, aveva le pagine tenuemente illuminate. E mentre le guardavano stupiti, un fascio di luce uscito dal libro li inghiottì. In un attimo, nella cameretta verde con tre lettini, non rimasse nemmeno un bambino...


                                                 2

Si trovarono in una stanza tutta di legno. C’erano due finestre grandi, attraverso le quali si vedeva una piccola città tutta illuminata con lucine colorate, dove un manto di neve bianchissima copriva ogni cosa. La stanza era luminosa, si sentiva un bel calduccio nonostante avessero addosso soltanto i pigiami e, stranamente, i tre fratellini non avevano affatto paura di essere soli.
Aspettarono un po’, in attesa di scoprire se qualcuno sarebbe arrivato a trovarli. Poi Rubén si guardò in giro e prese l’iniziativa. Sotto un grande cartello con la scritta “USCITA PER BAMBINI” (era il fratello grande e sapeva leggere benissimo) c’era una porta di legno piccolissima. Uscirono da lì trovandosi  in un lungo corridoio pieno di finestre del quale non si vedeva la fine, talmente lungo da sembrare infinito!
Fuori dalla porta li aspettava un piccolo folletto vestito di verde e rosso. Era alto quanto Chiara ma tondo tondo, come se avesse mangiato due cuscini senza masticarli. I suoi vestiti erano fatti con diversi tipi di carta. Carta velina per le calze,  cartoncino i pantaloni, cartone per le scarpe, carta stagnola per la camicia e nastri brillanti per cintura, polsini e colletto. E sulla testa un cappello fatto di carta crespa e velluto, con una campanellina di feltro sulla punta. Era proprio un bel vestito! Sembrava un regalo natalizio a forma di folletto.
-Vi aspettavamo da un po’- disse -Il vostro papà stava cominciando a preoccuparsi.
E li fece salire su un piccolo trenino di legno, talmente piccolo che su ogni vagone poteva stare seduto solo uno di loro. Era trainato da due coniglietti bianchissimi come la neve, che partirono velocemente verso loro meta.
-Vostro papà è molto occupato ora. Quindi per darvi tutte le spiegazioni, vi porterò direttamente dal nostro capo.
Così, guardando fuori dalle finestre il cielo stellato e i tetti delle casette illuminate, arrivarono finalmente a destinazione.
Rubén, Chiara e Francesco si tenevano per mano mentre il folletto entrava attraverso un’enorme porta bianca e rossa dicendo loro di aspettare. Tenevano gli occhietti ben aperti, non volevano perdersi niente di quello che stava succedendo. Nemmeno un briciolo di sonno si era intrufolato nei loro corpi trepidanti.  
Il folletto uscì poco dopo e li fece entrare nella stanza del capo.


                                                 3

Era una stanza piccolissima, ma molto ordinata. Un tavolo grande, un camino in cui ardeva il fuoco, delle mensole piene di scatole e una grande sedia dove era seduto un grosso signore anziano, con barba bianca ed occhiali. Tossiva e si soffiava il naso in continuazione. Ma solo quando smise, rimettendosi in tasca il grande fazzoletto, i tre fratelli riuscirono a capire chi era il personaggio che avevano davanti.
Francesco gridò, puntando verso di lui il suo ditino:
-Dadotatale!.
Era proprio lui. Forse un po’ provato dal raffreddore, ma era Babbo Natale in persona.
Vedendo i visi dei bambini, Babbo sorrise sotto il suo naso rosso rosso e dietro la folta barba. Visi incantati, forse un po’ impauriti, e con gli occhi pieni di stupore. Come era possibile che, dopo cosi tanti anni, non si fosse ancora stancato di vedere tanta meraviglia?
Chiara fu la prima a riprendersi e chiese del loro papà. Fu così che Babbo Natale iniziò il suo racconto:
-Questa notte, come voi sapete, è la Vigilia di Natale. Siamo pieni di lavoro. Dobbiamo preparare tantissimi regali da portare ad ogni bambino del mondo. Ma negli ultimi tempi abbiamo avuto qualche problemino... Io mi sono ammalato (eeetcciùùù) come potete vedere - e  si soffiò ancora una volta il nasone - dovendo rimanere a letto per qualche giorno, rallentando il lavoro di tutti. Poi, improvvisamente, si sono raffreddati anche gli elfi! Eravamo nei pasticci! Avevamo proprio bisogno di un papà come il vostro.
I bambini continuavano a guardarlo, come ipnotizzati. Che non avessero capito bene cosa stava spiegando quel signore anziano e barbuto? Così, Babbo Natale, decise che, come per tutti i bimbi, la dimostrazione sarebbe valsa molto di più delle parole. E li portò a visitare la sua Fabbrica dei Regali.
Dietro ad uno scaffale della piccola stanza c’era una manovella. Babbo la fece girare, ed ecco che l’intera parete girò su se stessa e in un secondo si trovarono dentro un’enorme e rumorosa galleria.
Nella prima parte cinque grossi tubi che provenivano dall’esterno, facevano entrare lettere di tutti i colori, misure, lingue e provenienza. Le buste cadevano in grandi contenitori che si riempivano a vista d’occhio.
-Le nostre colombe portano qui tutte le lettere scritte dai bambini dei cinque continenti. Le imbucano dall’esterno e noi le raccogliamo tutte insieme.
Continuarono a camminare lungo il corridoio mentre Babbo Natale sfoderava ancora il suo fazzoletto e il suo naso diventava sempre più rosso. Ai lati correvano come schegge decine e decine di coniglietti bianchissimi, trainando piccoli trenini di legno pieni zeppi di lettere. Poi, finalmente, avvistarono il posto dove andavano a finire tutte quante.
-Questo è il lavoro più complicato. Bisogna tradurre le lettere, i bisogni, i desideri di ogni bambino!.
Davanti a loro si trovava il macchinario più strano, più grande e più colorato che avessero mai visto. Aveva la forma di un’armonica, ma molto molto più grande. Era talmente grande che ci si poteva entrare da ogni foro. Infatti era proprio dentro ad ogni buco che andavano a infilarsi i trenini di legno. Da dove si trovavano loro riuscivano a vedere soltanto i grandi fori dell’armonica, ma la musica arrivava dappertutto. A volte si sentiva lenta, melodica, ma subito dopo faceva venire voglia di ballare. E poi ancora lenta, e veloce, e ti faceva venire anche voglia di cantare.
-E qui abbiamo la chiave di tutto!- disse soddisfatto Babbo Natale -Con questa armonica noi trasformiamo le centinaia di lingue del mondo nel linguaggio universale: la Musica!.
-Ma come fai?!- chiesero i bambini.
-È molto semplice. Le parole dei bambini non sono come quelle degli adulti. Sono pulite, dicono esattamente quello che vogliono dire. I bambini non sanno nascondere segreti sotto la matita, non conoscono significati diversi di una stessa parola. E scrivono come leggono: con le mani, con gli occhi e con il cuore. La testa non serve ancora ai bambini. Loro pensano con l’anima. Per questo non servono specialisti e grandi intenditori delle lingue. Perché le parole dei bambini sono talmente pure che possiamo trasformarle facilmente in musica. Cosi, ogni lettera, diventa uno spartito.
E gli scappò un altro starnuto.
-Eeetcciùù!.
Un grande punto interrogativo galleggiava davanti alla faccia di Rubén. E l’unica cosa che gli venne in mente da dire fu:
-Io so leggere e scrivere.
-Anch’io- disse  Chiara, forse un po’ meno convinta, ma altrettanto confusa per la spiegazione.
-Achio- disse Francesco. Ma nei suoi occhi ormai c’era solo tanta stanchezza.
-Benissimo- rispose Babbo Natale - Così potremo far diventare musica anche le vostre letterine. E ora andiamo dal vostro papà.


                                                4

Il papà si trovava dietro l’armonica. Girarono attorno al grande macchinario e videro lunghi fili che univano lo strumento ad alcune scrivanie, dov’erano seduti piccoli elfi con grandi cuffie bianche alle orecchie. Tra loro c’era il papà, anche lui con le cuffie, che lavorava entusiasta.
-Ogni elfo traduttore ascolta la musica e scrive lo spartito. Non importa la lingua  di provenienza. La musica è musica. Si traduce in emozioni. I nostri elfi sono specialisti. In mezzo alle note leggono i desideri e i sogni dei bambini.  Cosí prepariamo i regali e li portiamo in giro per il mondo!.
-E il papà?- chiesero i fratellini.
-Eeeetcciù!- Babbo Natale starnutì con forza, e dopo una bella soffiata di naso disse:
-Quando ci siamo raffreddati e alcuni sono dovuti restare a letto, ci siamo accorti che avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse. Ma non poteva venire chiunque!. Ci voleva una persona fuori dall’ordinario. E’ successo altre volte. Ci vuole un papà particolare, con delle caratteristiche speciali: Un papà che sappia raccontare storie, altrimenti non avrebbe mai creduto alla nostra storia. Deve sapere anche un po’ di musica. Non è da tutti riconoscere le note! Un ‘do-re-mi’ sbagliato mi farebbe consegnare una scopa della Befana invece di una bicicletta ad un vostro amico. Ci vuole un papà che sappia riconoscere le emozioni, e vedere dietro i sorrisi dei bambini, o dietro le loro lacrime, prima di dormire. Un papà che spunti le matite dell’astuccio la sera e che si sia alzato per voi di notte almeno mille volte, in caso contrario non potrebbe mai tradurre le parole sacre dei bambini. Che sia paziente, perché questa notte dovrà passare tante ore tra i loro pensieri. E poi ci voleva assolutamente un papà che sapesse usare il termometro e somministrare sciroppi! Dovevamo misurare la febbre ai folletti almeno tre volte al giorno e fargli bere la cura a base di polvere di stelle marine. E no!, non sarebbe potuto venire chiunque. Il vostro papà faceva proprio al caso nostro.
Si avvicinarono veloci alla scrivania del papà, che muoveva testa e piedi a ritmo di musica, mentre scriveva su un plico di fogli colorati.
Quando alzò la testa sorrise, e fu felicissimo di vedere i suoi figli in mezzo a quel mondo natalizio, che con la loro presenza diventava ancora più magico. Abbracciò con forza tutti e tre, e con il più piccolo seduto sopra le ginocchia, riprese a lavorare freneticamente. Mancava così poco tempo al momento della partenza dei regali!...
Rubén e Chiara vollero rendersi utili e Babbo Natale li accompagnò dove potevano aiutare. Chiara, essendo bravissima a colorare, fu messa ai Nastri di Fabbricazione della Carta regalo, dove cominciò subito a pitturare su tutti i tipi di imballi che si possano immaginare. E disegnò e colorò alberi, fiocchi di neve, campanelle, nastri, piccoli babbi natale, renne, orsetti, stelle... fino a saziare le sue mani da artista.
Rubén, grande esperto di stampatello minuscolo, finì nel reparto invii. Gli misero in mano la penna più bella che avesse mai visto e che cambiava colore magicamente ad ogni nuovo nome. Ne scrisse centinaia, con il suo fare scrupoloso, sopra ogni pacco regalo prima che venisse spedito.
Nel frattempo, Francesco si era addormentato beato nelle braccia di papà, sognando musica e luci colorate.
Aiutarono Babbo Natale e i folletti fino a mezzanotte.
-Vi ringrazio tanto, bambini. Senza di voi e il vostro papà non ce l’avremmo mai fatta a finire in tempo!.
Quando fu l’ora, un esercito di coniglietti bianchi arrivò con i trenini di legno, che furono riempiti di regali velocemente. Portarono tutti i pacchi all’esterno, dove stava aspettando Babbo con la sua slitta, enorme e luccicante, trainata da dodici splendide renne dalle corna vellutate e lunghissime.
Una volta carica, Babbo Natale, dopo due forti starnuti -Eeetcciù, eeetcciù- e una soffiata di naso, partì come un razzo verso il cielo stellato perdendosi nella notte.
Nel tempo che i tre fratelli e il papà ci misero a guardarsi negli occhi un po’ meravigliati e un po’ stanchi, un raggio di luce li avvolse accecandoli. E un attimo dopo, tutti e quattro erano tornati in cameretta!
Il libro era aperto dove l’avevano lasciato. Oddio, la mamma! Chissà se si era accorta della loro assenza! Controllarono piano in camera da letto... era ancora lì a dormire.
Erano talmente stanchi che, dopo aver riposto il libro sullo scafale ed essersi sussurrati la buona notte, si addormentarono subito. Così, il papà appoggiò l’ancora sognante Francesco sul lettino e andò a dormire.

                                                5

Il mattino dopo furono svegliati da una musica soave che arrivava da qualche parte della loro piccola memoria. Si precipitarono sul lettone, augurandosi Buon Natale in un groviglio di lenzuola e abbracci.
 -Babbo Natale!- urlarono i bambini dopo un po’.
 Il papà aprì la spedizione verso il salotto mentre Rubén, Chiara e Francesco lo seguivano un po’ incerti su quello che avrebbero trovato. Sopra un telo rosso videro cinque meravigliosi pacchi di carta profumata e colori brillanti, dove si riflettevano le lucine accese dell’albero di Natale. Potevano addirittura riconoscere i disegni fatti da Chiara e i nomi scritti da Rubén!
I bambini si guardarono felici, perché quella notte avevano visto tante cose straordinarie a cui sicuramente la mamma non avrebbe mai creduto se glielo avessero raccontato. Allora il papà fece loro l’occhiolino, portandosi un dito davanti alle labbra.
–Sssssh- disse. E fece un bellissimo sorriso.
-Dadotatale!- esclamò Francesco. E la mamma fece un altro bellissimo sorriso, ignara della loro incredibile avventura notturna.

Eeeeetcciuuù! 



A Rubén, Chiara e Francesco, che hanno il papà che si meritano.


El resfriado de Papá Noel

1

Puede ser que no me creáis... porque no os ha sucedido nunca. Pero estoy segura que si os hubiera pasado a vosotros ya se lo habríais contado al mundo entero.

Érase una vez una bonita casa, donde vivían tres hermanos: Rubén, el más grande, tenía seis años pero aparentaba siete. Chiara, tenía cinco años y una sonrisa que medía cinco metros. Y Francesco, el más pequeño, dos años aún por cumplir ¡pero un montón de travesuras ya cumplidas!.
Todas las noches, después de cenar, cuando ya se habían lavado los dientes y puesto los pijamas, llegaba el papá con el libro que habían escogido ellos mismos debajo del brazo.
Como todas las noches, Rubén decía que no le gustaba la historia, que era de niños pequeños, o aburrida... Pero al final era el que más atento estaba.
Como todas las noches, Chiara se quejaba unos minutos porque habría preferido otro libro diferente, para más tarde, durante la lectura, perderse acariciando a su hermano pequeño, acostando en la cuna una muñeca y durmiéndose con una mecha de cabellos entre los dedos. Y como todas las noches, a Francesco no le importaba para nada el libro, sino los mimos de su hermana o los juguetes, mientras bailoteaba cantarín por la habitación.
Aquella noche, pues, llegó el papá con la historia. Pero aquella no era una noche cualquiera, era Nochebuena. El libro también era especial. Narraba un viaje fantástico entre magia, regalos y Papá Noel.
El árbol de Navidad estaba en el salón, con las luces encendidas, y a sus pies, sobre una bandeja, bien preparadas: la carta con la lista de regalos, la leche, las galletas y las zanahorias.
El papá apagó la luz de la habitación, encendió la lamparilla de la mesita y se sentó en el suelo quitándose los calcetines. Abrió el libro y empezó a leer, con su voz cálida y un poco melódica que conciliaba el sueño. Después de la cena, los tres hermanos tenían la barriga llena, estaban cansados y se durmieron enseguida. Pero Rubén, que no dormía nunca profundamente, se despertó al cabo de pocos minutos. ¡Qué sorpresa! El libro estaba en el suelo, abierto, al lado de los calcetines, pero... ¡el papá no estaba! Lo llamó despacio varias veces y, con ese poco de miedo que lo acompaña siempre, decidió despertar a sus hermanos.
Cuando estuvieron los tres bien despejados, fueron a buscar al papá. A pesar de la oscuridad de la casa, las luces encendidas del árbol les permitían caminar por el pasillo. El papá no estaba durmiendo en su cama. Tampoco estaba en el bagno, y nisiquiera en el salón. ¿Y en la cocina? Menos aún.
Volvieron a su habitación y fué entonces cuando se percataron que las páginas del libro que poco antes estaba leyendo el papá se iluminaban levemente. Y mientras las miraban asombrados un rayo de luz surgido del libro los engulló.
En un periquete, en el dormitorio verde con tres camas, no quedó ni un solo niño.


2

Se despertaron en una habitación con el suelo y las paredes de madera. Tenía dos grandes ventanas, desde las que se veía una pequeña ciudad iluminada con lucecitas de colores y donde todo lo cubría un manto de nieve blanquísima. La estancia estaba llena de luz y, aunque llevaban puesto sólo el pijama, se sentía un agradable calorcillo. Era raro, los tres hermanitos sabían que estaban solos y sin embargo no tenían miedo.
Esperaron un poco, por si alguien venía a buscarlos. Pero al cabo de un rato Rubén buscó con la mirada a su alrededor y tomó una decisión. Debajo de un gran cartel donde estaba escrito “SALIDA PARA NIÑOS” (era el hermano mayor y sabía leer muy bien) había una puerta de madera muy pequeña. La atravesaron si dificultad y se encontraron en un largo pasillo lleno de ventanas del que no se veía el final, era tan largo ¡que parecía infinito!
Allí les esperaba un pequeño elfo vestido de verde y rojo. Era tan alto como Chiara, pero redondito, como si se hubiera comido dos almohadones sin masticar. Toda su ropa estaba hecha de papel. Papel de acetato para los calcetines, cartulina para los pantalones, cartón para los zapatos, papel de aluminio para la camisa y cintas brillantes para el cinturón, las mangas y el cuello. Y en la cabeza un gorro de papel pinocho y terciopelo, con una campanilla de fieltro en la punta. De verdad que era un traje bonito. Parecía un regalo a forma de elfo.
-Os estábamos esperando- dijo. -Vuestro padre empezaba a preocuparse.
Y los hizo subir en un pequeño tren de madera, tan pequeño que en cada vagón cabía sólo una persona. Dos conejos blanquísimos como la nieve tiraban del tren y, veloces, partieron hacia la meta.
-Vuestro papá está muy ocupado. Así que os llevaré primero a hablar con nuestro jefe. Él os lo explicará todo.
Así pues, mirando por las ventanas el cielo estrellado y los techos de las casitas iluminadas, llegaron al final del trayecto.
Rubén, Chiara y Francesco esperaron cogidos de la mano mientras el elfo entraba por una enorme puerta blanca y roja. Tenían los ojitos bien abiertos, no se querían perder nada de lo que estaba sucediendo. En sus cuerpos temblorosos no había conseguido entrar ni una gota de sueño.
El elfo salió poco después y los acompañó al interior del despacho del jefe.


3

Era una habitación pequeña pero muy ordenada. Una mesa grande, una chimenea donde ardía el fuego, estanterías llenas de cajas y un sillón donde estaba sentado un anciano grande y gordote, con barba blanca y gafas. Tosía y se sonaba la nariz constantemente. Sólo cuando terminó, metiéndose en el bolsillo el grande pañuelo, los tres hermanos supieron quién era la persona que tenían delante.
Francesco gritó señalándolo con su dedito:
Papaolé!.
Sí, era él. Un poco estropeado por culpa del resfriado, claro, pero era Papá Noel en persona.
Viendo las caras de los niños, Noel sonrió entre la frondosa barba blanca, por debajo de su nariz roja. Rostros embelesados, un poco asustados quizás, y con las miradas llenas de asombro. ¿Cómo era posible que después de tantos años no se hubiera cansado todavía de ver tanta maravilla?
Chiara fue la primera que se rehizo y preguntó por su padre.
Entonces Papá Noel empezó su relato:
-Esta noche, como vosotros sabéis, es Nochebuena. Tenemos mucho trabajo. Debemos preparar los regalos que llevaremos a todos los niños del mundo. Pero últimamente hemos tenido problemas... Yo me he puesto malo (aaatcchuú) como podéis ver - y se sonó otra vez la nariz- He tenido que guardar cama durante algunos días, entorpeciendo el trabajo de todos.
Luego, de golpe, ¡se han resfriado los elfos también! ¡Un desastre! Necesitábamos de verdad un papá como el vuestro...
Los niños lo miraban como hipnotizados. ¿Es que no habrían  entendido bien lo que les estaba explicando aquel señor anciano y barbudo?
Papá Noel decidió que, como para todos los niños, una demostración valía mucho más que las palabras. Y los llevó a visitar su Fábrica de Regalos.
Detrás de una estantería del despacho había una palanca. Noel la hizo girar y la pared entera dió la vuelta sobre sí misma. En un segundo se encontraron dentro de una enorme y ruidosa galería.
A su lado vieron cinco grandes tubos que provenían del exterior, desde los que entraban cartas de todos los colores, medidas, idiomas y procedencia. Los sobres caían en grandes contenedores que se llenaban en un santiamén.
-Nuestras palomas recogen las cartas que escriben todos los niños de los cinco continentes y las traen hasta nuestros buzones, pero nosotros las acumulamos todas juntas.
Siguieron caminando por el pasillo mientras Papá Noel sacaba otra vez el pañuelo y su nariz se volvía cada vez más roja. A los lados corrían como flechas docenas y docenas de conejillos blanquísimos, arrastrando tras de sí los pequeños trenes de madera llenos hasta los bordes de cartas.
Hasta que avistaron el lugar donde iban a parar todas ellas.
-Este es el trabajo más complicado. Hay que traducir las cartas, las exigencias y los deseos de cada niño.
Delante de ellos se encontraba la máquina más extraña que habían visto nunca. Era de colores y tenía la forma de una armónica, pero mucho más grande. Tan grande que se podía entrar a través de los agujeros. De hecho, era dentro de cada orificio donde los trenecillos de madera acababan su recorrido. Desde allí los tres hermanos podían ver sólamente los agujeros de la armónica, pero oían una música extraña que flotaba en el aire. A veces era lenta, melodiosa, y un momento después cambiaba ritmo y te daban ganas de bailar. Luego otra vez lenta, luego rápida, y entonces te daban ganas de cantar.
-Aquí está la clave de todo- dijo satisfecho Papá Noel -Con esta armónica transformamos los cientos de idiomas del mundo en el lenguaje unirversal: la Música!
-¿Y cómo lo hacéis?-preguntaron los niños.
-Es muy sencillo. Las palabras de los niños no son como las de los adultos. Son cristalinas, límpidas. Dicen exáctamente lo que quieren decir. Los niños no saben esconder secretos debajo del lápiz, no conocen significados diferentes de una misma palabra. Y escriben como leen: con los dedos, con los ojos y con el corazón. La cabeza no les sirve todavía a los niños. Ellos piensan con el alma. Por eso no sirven grandes especialistas en idiomas. Porque las palabras de los niños son tan puras que podemos trasformarlas fácilmente en música. Y así, cada carta se convierte en una partitura.
Y se le escapó otro esturnudo.
-Aaatchú!
La expresión del rostro de Rubén era un gran signo de interrogación. Lo único que se le ocurrió decir fue:
-Yo se leer y escribir.
-Yo también - dijo Chiara, aunque no era del todo verdad, pero estaba tan confusa después de la explicación como su hermano.
-Yobebén- dijo Francesco. Pero en sus ojos ya no quedaba mas que sueño y cansancio.
-Pues me parece estupendo- dijo Papá Noel - Así podremos convertir vuestras cartas en música.


4

Caminaron alrededor de la máquina y vieron largos cables que unían el instrumento con algunos pupitres, donde estaban sentados unos cuantos elfos con grandes auriculares blancos en las orejas. Entre ellos estaba el papá, con los suyos puestos, que trabajaba con entusiasmo.
-Cada elfo traductor escucha la música y escribe la partitura. No importa el idioma de origen. La música es música. Se traduce en emociones. Nuestros elfos son especialistas en traducirlas. Descifran entre las notas los deseos y los sueños de los niños. Y así, podemos preparar los regalos y repartirlos por el mundo.
-¿Y el papá?- preguntaron.
-¡Aaaatchú!- Papá Noel estornudó con fuerza y  después de sonarse bien la nariz dijo:
-Cuando nos resfriamos y tuvimos que guardar cama, nos dimos cuenta que necesitábamos ayuda. ¡Pero no podía venir qualquiera! Tenía que ser una persona extraordinaria. Ya nos ha pasado otras veces. Se necesita un papá particular, con características especiales: Un papá que sepa contar historias, porque si no, no se habría creído ni una palabra de la nuestra. Tiene que saber también un poco de música. ¡No todos saben reconocer las notas! Un “do-re-mi” equivocado podría llevarnos a entregar una calabaza en vez de una bicicleta. Se necesita un papá que sepa reconocer las emociones, y ver lo que se esconde detrás de vuestras sonrisas o lágrimas cuando es la hora de acostarse. Un papá dispuesto a sacar punta a los lápices del estuche todas las tardes y que se haya levantado de noche al menos mil veces por oíros llorar, de lo contrario no podría jamás traducir las prodigiosas palabras de los niños. Un padre que sea paciente, porque esta noche tendrá que pasar muchas horas entre pensamientos infantiles. Y además, ¡era necesario saber utilizar el termómetro y dar cucharadas de jarabe! Hemos tenido que tomar la fiebre a los elfos por lo menos tres veces al día y darles dos cucharaditas de sirope de polvo de estrellas de mar. ¡No,No! ¡No podía venir qualquiera! Vuestro padre era el padre que necesitábamos.
Se acercaron rápidamente a la mesa del papá, que movía la cabeza y los pies al ritmo de la música mientras escribía sobre un montón de papeles de colores.
Cuando alzó la vista sonrió y se alegró mucho de ver a sus hijos en medio de aquel mágico mundo navideño, que le parecía todavía más especial ahora que estaban dentro ellos también.
Los abrazó con fuerza y, con el más pequeno sentado sobre las rodillas, siguió trabajando con frenesí. ¡Faltaba poco tiempo para la entrega de los regalos!
Rubén y Chiara querían ayudar y Papá Noel los llevó donde podían aprovechar sus cualidades. Chiara, que sabía pintar muy bien, fué a las Cintas de Fabricación de Papel de regalo, donde comenzó enseguida a colorear decenas de embalajes diferentes. Y dibujó árboles, copos de nieve, campanillas, lazos, pequeños papá noeles, renos, ositos, estrellas... hasta saciar sus manos de artista.
Rubén, gran experto de letras minúsculas y cursivo, acabó en la sección de Envíos. Le dieron la pluma más bonita que había visto nunca y que cambiaba mágicamente de color a cada nuevo nombre. Escribió y escribió centenares de direcciones, escrupulosamente, sobre cada regalo.
Mientras tanto, Francesco se había dormido profundamente en brazos del papá, soñando música y luces de colores.
Ayudaron a Papá Noel y sus elfos hasta medianoche.
-Muchas gracias, niños. Sin vostros y vuestro padre no habríamos conseguido terminar a tiempo.
Un ejército de conejillos blancos llegó arrastrando trenecitos de madera que fueron llenados rápidamente de regalos. Llevaron al exterior todos los paquetes, donde esperaba Papá Noel sobre su trineo, enorme y brillante, guiado por doce espléndidos renos de cuernos largos y aterciopelados.
Una vez cargados todos los paquetes, Papá Noel, tras dos fuertes estornudos –¡Aaatchú, atchú!- se lanzó hacia las estrellas como un cohete perdiéndose en la noche.
Mientras los tres hermanos y su papá miraban el cielo maravillados y un poco cansados, un rayo de luz los envolvió deslumbrándolos.
Cuando abrieron los ojos, estaban en la habitación verde.
El libro estaba donde lo habían dejado. ¡Oh! ¡La mamá! ¿Se habría dado cuenta de su ausencia? Entraron despacio en el dormitorio...uff, menos mal, aún dormía.
Estaban tan cansados que, después de colocar el libro en la estantería y haber susurrado “buenas noches”, se durmieron enseguida. El papá colocó suavemente el todavía durmiente Francesco en su cuna y se fue a descansar.


5

El día siguiente se despertaron con una música suave que venía de alguna parte de su pequeña memoria. Se catapultaron hacia la cama de sus padres, felicitándose la Navidad en una maraña de sábanas y abrazos.
-¡Papá Noel!- gritaron los niños al cabo de un rato.
El papá entró al salón, mientras Rubén, Chiara y Francesco lo seguían temerosos porque no sabían lo que se podían encontrar.
Sobre una tela roja vieron cinco maravillosos paquetes envueltos en papel perfumado y de brillantes colores, donde se reflejaban las lucecitas encendidas del árbol de Navidad. ¡Podían incluso reconocer la escritura de Rubén y los dibujos que había hecho Chiara!
Los niños se miraron felices, aquella noche habían visto cosas extraordinarias, cosas que no podían contar a la mamá porque no los habría creído nunca.
Entonces el papá les guiñó el ojo, poniéndose un dedo en los labios.
-Ssssshhhh- dijo. Y su boca se curvó en una bellísima sonrisa.
Papaolé!-exclamó Francesco. Y la boca de la mamá se curvó en otra bellísima sonrisa, ajena a la increíble aventura nocturna que se había perdido.

¡Aaaatchú!





A Rubén, Chiara y Francesco, que tienen el padre que se merecen.


giovedì 28 novembre 2013

Città dei Re


C’era una volta un Natale grigio e ventoso. Grigio per il colore plumbeo del cielo nel mese di dicembre. Ventoso perché vicino al mare la brezza soffiava a tutte le ore, e le case erano corrose dal sale dell’aria e della terra salmastra di cui sono fatte le montagne. Era un Natale fatto di colori spenti e legno eroso.
C’era una volta un Natale con famiglie senza padre, con madri coraggiose e numerosi figli di età confinanti tra loro.
Con case dai balconi di legno, di cemento rotto e dipinte di azzurro o giallo. Case sommerse da altre case, dentro le quali ci si arriva attraverso un lungo corridoio scuro che nasce da strade grigie e marroni, per finire in cortili baciati da una luce stremata.
Case nei quartieri alti (barrios altos), limite metropolitano che confina con la montagna, da dove scende, anche a Natale, lo stesso vento bruno di tutto l’anno.
Feste di Natale nella linea che divide il bene e il male. La differenza fra vivere e sopravvivere. Fra avere poco e non avere niente. Perché oltre i quartieri si arriva ancora più lontano. Dove la miseria non ha nome perché le parole non riescono a raggiungere quello che vedono gli occhi e toccano le mani.
La linea che forma l’orizzonte è magnifica in quel posto bizzarro, è colorata in mezzo a una nuvola di sabbia. Milioni di anime tra lamiere e cartoni. Città che circonda la città. Un mare infinito di mura domestiche fatte di carta, che si cancellano dopo la pioggia e ricompaiono con il sole. Focolari concepiti con lo stesso fuoco che li abbatte, con la stessa forza inossidabile che li ricostruisce, come ieri, di terra, pietra e legno.
C’era una volta un Natale tra famiglie che affogavano in dolori maledetti e insanabili sofferenze. Storie che camminano per le strade polverose trascinando i piedi, ma che domani non avranno lasciato una sola impronta. Perche sono milioni, ed è facile dimenticare i loro nomi.
Natale tra sacchi di riso e fagioli, pesati e sigillati da braccia malate e sane. Dita more e olivastre, con il sangue condannato a morte per avere amato con la sorte sbagliata. Sangue punito che destina i propri frutti ad un domani incerto.
Gente dagli occhi scuri, con l’anima radicata, pazzamente innamorata della propria terra traditrice. In grado di sperare tutta una vita la metamorfosi del suo amante ingrato, o di scappare molto lontano cercando altre fortune, per ritornare dopo, di nuovo rapita dalla nostalgia. Gente senza paura di perdere perché nata già perduta, tutto quello che succede poi, non può che essere gioia.
Madri che non viziano i figli perché non avrebbe senso. Come feroci leonesse insegnano a cacciare, a vivere, a cercare sostentamento e lavoro prima possibile, per non essere divorati. Chi possiede questa fortuna sopravvive, impara a perseguire senza fiato il suo futuro, e a volte cattura una vita propria e felice. Per poi ringraziare la madre dalla pelle invecchiata e l’animo di acciaio per tutti i sacrifici che conoscono solo quelli che vivono tra le case marroni erose dal vento.
Città di colori sbiaditi, di un centro vivo e maestoso e un colossale perimetro. Di contrapposizioni e analogie. Di divinità e tenebre.
Città di mare e spiagge per chi ha i piedi per raggiungerle, di pezzi di terra sterile per chi da più lontano rimane a controllare la casa di cartone con la paura di essere derubato.
Ma nonostante tutto si sparge tra le viscere e la memoria il seme del ritorno. Anche se non sei nato sulle rive del mare, o sopra la montagna in mezzo alle reliquie o i resti millenari, oppure più all’interno, dove inizia la selva, il titanico fiume e altri mondi magici. Terra che ti corteggia e conquista, che incapriccia lo straniero e sottomette il nativo.
C’era una volta un Natale che univa i cuori sopra l’oceano. Fili di nostalgia sopra l’Atlantico, sorvolando la foresta, o sopra il Pacifico e le isole, migliaia di kilometri, come piccoli aerei invisibili, o sotto il mare, come le maree. Fili di pena, di speranza o di solitudine, minuscoli o enormi pensieri che uniscono continenti.
E così, come tutti gli anni, scende dalla montagna il vento bruno che condisce la città con l’aria del mare.


A tutti i colleghi e colleghe che ho avuto, ho e avrò, che sanno del mare e della montagna, e che afferrano con forza i loro fili invisibili.


Ciudad de los Reyes


 


Érase una vez una Navidad gris y ventosa. Gris por el color plomizo del cielo en el mes de diciembre. Ventosa porque cerca del mar la brisa volaba a todas horas, y las casas se corroian con el aire curtido y la tierra salada de la que estaban hechas las montañas. Era una Navidad hecha de colores apagados y maderas carcomidas.

Había una vez una Navidad con familias sin padre, con madres valientes y varios hijos de edades aledañas.
Con casas de balcones de madera, casas de cemento roto y pintadas de azul o amarillo. Casas ahogadas entre otras casas, a las que se llega a través de un largo pasillo oscuro que nace en  calles grises y marrones, para acabar en patios bañados de luz mortecina.
Casas en barrios altos, límite metropolitano que linda con la montaña, desde donde baja, también en Navidad, el mismo viento tordo de todo el año.
Fiestas de Navidad en la linea que separa el bien del mal. La diferencia entre vivir y sobrevivir. Entre tener poco y no tener nada. Porque más allá de los barrios se llega todavía más lejos. Donde la miseria no tiene nombre porque las palabras no alcanzan lo que ven los ojos y tocan las manos.
La linea que forma el horizonte es magnífica en este lugar loco, es de colores entre una nube de arena. Millones de almas entre chapas y cartones. Ciudad que rodea la ciudad. Un mar infinito de hogares de papel que se borran con cada lluvia y se levantan con el sol. Cobijos concebidos con el mismo fuego que los demuele, con la misma fuerza incombustible que los reconstruye, como ayer, de tierra, piedra y madera.
Érase una vez una Navidad entre familias sumergidas en dolores malditos e insanables  sufrimientos. Historias que caminan entre calles polvorientas arrastrando los pies, pero que mañana no habrán dejado una sola huella. Porque son millones, y tienen nombres que se olvidan.
Navidad entre sacos de arroz y habichuelas, pesados y sellados por  brazos enfermos y sanos.  Dedos morenos y aceitunados, con sangre condenada a la muerte por haber amado con la suerte equivocada. Sangre castigada que destina  sus propios frutos a un porvenir incierto.
Gente de ojos oscuros con el alma enraizada, locamente enamorada de su tierra traicionera. Capaz de esperar toda una vida la metamorfosis de su amante ingrato, o capaz de escapar muy lejos buscando otras fortunas,  para luego volver de nuevo atrapada por la nostalgia. Gente sin miedo a perder porque ya nació perdida, todo lo que sucede después no puede ser sino dicha.
Madres que no consienten a los hijos porque no tendría sentido. Como fieras leonas enseñan a cazar, a vivir, a buscar sustento y trabajo lo antes posible para no ser devorados. Quien posee esta fortuna sobrevive, aprende a perseguir sin respiro su futuro; a veces apresa una vida propia y feliz. Para más tarde agradecer a la madre de piel vieja y ánimo de acero todos los sacrificios que conocen solo los que viven entre las casas de colores corroidas por el viento.
Ciudad de colores desgastados, de centro vivo y majestuoso, de perimetro colosal. De contraposiciones y analogias. De divinidades y tinieblas.
Ciudad de mar y playa para quien tiene los pies que lo acerquen, de terruño esteril para el que más lejos se queda a vigilar su casa de cartulina con miedo a que otros se apropien.
Y sin embargo se desparrama en las entrañas y la memoria la semilla del regreso. Aunque no hayas nacido a la orilla del mar, o en lo alto de la sierra entre reliquias o restos milenarios, o más adentro donde empieza la selva, el titánico rio y otros mundos mágicos. Tierra que te corteja y conquista, que encapricha al extranjero y avasalla al nativo.
 Érase una vez una Navidad que unia corazones sobre el oceano. Hilos de añoranza sobre el Atlántico, sobrevolando la foresta, o sobre el Pacífico y sus islas, miles de kilómetros, como pequeños aviones invisibles, o bajo el mar, como las mareas. Hilos de pena, de esperanza o de soledad, diminutos o enormes pensamientos que unen continentes.
Mientras, de la montaña baja, como todos los años, el tordo viento que sazona la ciudad con el aire del mar.


A todos los compañeros/as que he tenido, tengo y tendré que saben del mar y la sierra, y que sujetan con fuerza sus hilos invisibles.  




giovedì 21 novembre 2013

Il profumo del neonato.

Il profumo del neonato crea dipendenza. E’ quel profumo dolce fatto di latte, biscotto, pannolino bagnato e pelle pulita, perchè loro sudano emozioni belle, che mai hanno un brutto odore e sanno di dormite colorate.
Quel profumo svanisce tra i due e i tre anni. E uno si chiede se abbia senso che il divano e le proprie braccia perdano un odore cosi meraviglioso. Annusare un collo morbido e far sparire ogni grigio pensiero. Ogni casa dovrebbe essere sempre piena di profumi neonatali.
Ma poi arrivano altri odori. Quelli dei libri nuovi, del legno delle matite spuntate. Di magliette sportive e di merende mangiate a metà. E proprio quando stavi pensando che avresti preferito abbracciare un altro fagotto che sa di crema e di fruttino, vieni inondato dalla consapevolezza che quell'odore di colla che esce dagli zaini sproporzionati verrà presto sostituito dal sentore acre delle preoccupazioni, delle scarpe adolescenziali, dalle lenzuola con disegni colorati che poi le domeniche mattine puzzeranno di birra e sigarette.

I profumi innocenti diventati strani e lontani, perchè ne sono arrivati altri, magari quelli dei primi baci, o quelli che sanno di gas e di sangue ed entrano nel naso con la rabbia di una lite. Allora ti convinci che va bene così. Che è giusto che la nostra casa ceda il posto ai nuovi odori che appariranno, lasciando uscire dalla finestra la rassicurante aria che sa di neonato. Per aspettare senza paura i tempi che verranno e, con pazienza, esserci sempre, per ogni nuova ventata che sarà tutte le volte sorprendente. 

El perfume del neonato.


El perfume del neonato crea dependencia. Es ese perfume dulce hecho de leche, galleta, pañal mojado y piel limpia, porque ellos sudan emociones bellas, que nunca huelen mal y saben de sueños de colores.
Ese perfume se desvanece entre los dos y los tres años. Y uno se pregunta si tiene sentido que el sofá y tus mismos brazos pierdan un olor tan maravilloso. Olfatear un cuello suave y que desaparezca cada gris pensamiento. Todas las casas deberían estar siempre llenas de perfumes neonatales.
Pero después llegan otros olores. Aquellos de los libros nuevos y de los lápices despuntados. De camisetas deportivas y de meriendas a medio comer.

Y justo cuando estabas pensando que preferirías abrazar otra suave criatura que sepa de crema y fruta, inesperadamente entiendes que ese tufo a pegamento que se escapa de las mochilas desproporcionadas será rapidamene sustituido por el aroma agrio de las preocupaciones, de las zapatillas adolescentes, de las sábanas con coloreados dibujos que apestarán de cerveza y cigarros las mañanas de los domingos.
Los perfumes inocentes convertidos en extraños y lejanos. Porque han llegado otros, quizàs el de los primeros besos, o aquel que sabe a gas y a sangre y entra en la nariz con la rabia de una pelea.

Entonces te convences que así debe ser. Que es justo que nuestra casa ceda el puesto a los nuevos olores que irrumpirán, permitiendo que salga por la ventana el aire lenitivo que emana un neonato. Esperando sin miedo los tiempos que vendrán, y con paciencia, presenciar cada nueva ventisca que será todas las veces sorprendente.  




Di barconi e memoria.

Che tristezza che l’uomo perda la sua memoria storica. Che tristezza aver dimenticato da dove veniamo e dove siamo andati, e chiedere per noi quello che non sappiamo dare, in nome di una dignità della quale ignoriamo il significato.
Che pena pensare di essere differenti, di meritare tutto quello che abbiamo e anche di più. Pensare che le frontiere debbano essere come quei muri che abbiamo già dimenticato furono distrutti per essere considerati contro l’umanità. Che pena che l'affondare quotidiano delle barche a pochi metri e sia diventato un'abitudine per noi. Che la morte ci faccia paura solo se entra dalla porta di casa. Che pena aver dimenticato che in barche uscimmo un giorno e molti di noi non ritornarono. Aver dimenticato che noi, o i nostri cari, viviamo in paesi che non sono i nostri, dei quali non conoscevamo la lingua e nei quali pativamo solo disprezzo, e che quello che abbiamo è stato guadagnato perchè qualcuno ci ha ricevuto.
Che pena distruggere frontiere e costruirne altre. Che nello stesso paese si lotti per vivere separati. Perche in realtà tutti i paesi ci somigliamo: siamo ugualmente egoisti, ignoranti (di quelli che ignorano molte cose), smemorati e volontariamente ciechi. Passano e cambiano i secoli, gli anni, le epoche, i motivi e le distanze. Forse è cambiato anche il cuore dell’uomo?.

Che tristezza pensare che domani avremo già dimenticato quello che abbiamo vissuto ieri. 

De barcas y memoria.

Que pena que el hombre pierda su memoria historica. Que pena que nos olvidemos de donde venimos y a donde hemos ido. Que pidamos para nosotros lo que no sabemos dar, en nombre de una dignidad de la que desconocemos el significado.
Que lastima que pensemos que somos diferentes, que merecemos mas de lo que tenemos. Que pensemos que las fronteras debieran de ser como los muros que ya hemos olvidado que fueron destruidos por ser considerados contra la humanidad.
Que pena que se nos hundan todos los dias los barcos a pocos metros y nos estemos acostumbrando. Que la muerte nos de miedo solo si nos entra por la puerta de casa. Que pena que se nos olvide que en barcos salimos un dia y muchos ya no volvieron. Que se nos olvide que nosotros, o quien amamos, vivimos en paises que no son los nuestros, que no sabiamos la lengua y que recibiamos solo desprecio, y que lo que tenemos lo ganamos porque alguien nos recibiò. 
Que pena que derribemos fronteras y construyamos otras. Que en un mismo pais se luche por estar separados.  Porque en realidad todos los paises nos parecemos en algo, somos igual de egoistas, de ingorantes (de los que ingoran muchas cosas), desmemorados y voluntariamente ciegos.
Pasan y cambian los siglos, los años, las épocas, los motivos y las distancias. A lo mejor es que tambien cambia el corazòn del hombre.
 Que pena que se nos vaya a olvidar mañana lo que vivimos ayer. 



23 ottobre 2013

23 Ottobre.

Al mio piccolo fiore, che dimentichiamo sempre perchè non fa rumore. Alla principessa minuta, silenziosa e solitaria. A lei che si lamenta poco ma con forza, che è lenta perche si muove parsimoniosa e meditabonda, che studia i visi e i gesti prima di decidere se amare.
A lei che si vergogna di dire il suo nome perchè non lo pronuncia bene.
Che si nasconde dietro la rabbia perchè muore di timidezza.
Che tiene a suoi indecifrabili segreti, per poi non riuscire a tenerli nascosti.
Che sotto pelle ha già l’istinto della dolce mamma che sarà.
A lei che veste piccolo ma vale tanto.  Esile e leggera, ma tenace e inflessibile.
Alla mia piccola fortezza, perchè tutti gli anni che verranno (anche se tu ora non lo sai e forse neanche lo vuoi) ti diano la saggezza che serve per coltivare i tuoi doni, per convivere con le tue debolezze, e che quegli anni facciano di te la donna che prometti di essere.
Buon compleanno, Chiara.

23 octubre 2013

23 Octubre

A mi pequeña flor, que olvidamos siempre porque no hace ruido. A la princesa menuda, silenciosa y solitaria. A ella, que se queja poco pero lo hace con fuerza, que es lenta porque se mueve cuidadosa y meditabunda, que estudia los rostros y los gestos antes de decidirse a amar.
A ella, que se avergüenza de decir su nombre porque no lo pronuncia bien.
Que se esconde detrás de la rabia porque muere de timidez.
Que esconde indescibrables secretos, pero no resiste y los descubre.
Que debajo de la piel tiene ya el instinto de la madre dulce que será.  
A ella, que viste pequeño pero vale mucho. Grácil y ligera, pero tenaz e inflexible.
A mi pequeña fortaleza, que todos los años que vendrán (aunque si tu ahora no lo sabes y probablemente nisiquiera lo deseas) te den la sabiduria que se necesita para cultivar tus cualidades y  para convivir con tus flaquezas, y que esos años hagan de ti la mujer en la que prometes convertirte.

Feliz Cumpleaños, Chiara. 

22 enero 2013


22 Enero:


Es el primer aniversario de un nuevo amor que será para siempre. El aniversario de nuestro primer abrazo que no pudo ser. De la primera vez de unas lágrimas llenas de un miedo monstruoso. Es el aniversario de nuestras primeras caricias a través de una caja.De tus primeros alientos fatigosos y los mios angustiados. Pero es también tu primer año de vida en nuestra ya grande familia, y los primeros recuerdos han sido silenciados por tus sonrisas sin dientes.¡¡¡ Feliz cumpleaños Francesco!!! 

22 gennaio 2013

22 gennaio:

È il primo anniversario di un nuovo amore che sarà per sempre. L’anniversario del nostro primo abbraccio mancato. Della prima volta di un pianto pieno di paura mostruosa. È l’anniversario delle nostre prime carezze attraverso una scatola. Dei tuoi primi respiri affaticati e i miei respiri affannosi. Ma è anche il tuo primo anno di vita nella nostra ormai grande famiglia, e tutti i primi ricordi sono stati sommersi dai tuoi sorrisi sdentati. Buon compleanno Francesco!! 


La Luna Part-time (mensaje de bienvenida al blog)

Soy madre part-time, enfermera part-time, esposa part-time, amiga part-time.
Son part-time incluso las noches (¿con tres hijos que posibilidad hay de dormir todas las noches seguidas durante una semana entera?). Part-time, o puede que menos, es el tiempo que puedo dedicar a escribir. 
Soy 100% española, pero hablo la mitad del tiempo en español y la mitad en italiano. Tengo hijos mitad españoles y mitad italianos. Hace tiempo miraba la luna soñadora, ahora la miramos todos juntos hablando del hombre lobo.
Cada cosa que escribiré será traducida en dos lenguas, para que puedan leerla todos. Asi que nada de "part", sino trabajo doble.
Esta es mi esquinita, donde mis dedos podrán quitarse el picor de abstinencia de palabras rascándose con el teclado.
Bienvenido a quienquiera que tenga ganas de leerme entre lineas.

giovedì 14 novembre 2013

La Luna Part-time (messaggio di benvenuto al blog)

Sono mamma part-time, infermiera part-time, moglie part-time, amica part-time. Sono part-time pure le notti (con tre figli, che possibilità c'è di dormire tutte le notti durante una intera settimana?). Part-time, o forse un pò meno, è il tempo che posso dedicare a scrivere. Sono 100%spagnola, ma parlo metà del tempo in spagnolo e metà in italiano. Ho figli per metà spagnoli e metà italiani. La luna una volta la guardavo da sognatrice, ora la guardiamo tutti insieme parlando del lupo mannaro.
Ogni cosa che scriverò sarà tradotta in due lingue per poter essere letta da tutti. Quindi niente "part", ma doppio lavoro.
Questo è il mio angolino, dove le mie dita potranno togliersi il prurito da astinenza di parole grattandosi contro la tastiera. Benvenuto a chiunque abbia voglia di leggermi tra le righe.