giovedì 2 gennaio 2014

Lo zaino

Per il 2014 devo mettere nel mio zaino un po’ di cose. Le porterò con me per il prossimo anno. Le porto perché non posso separarmi da loro oppure perché neanche se volessi potrei  togliermele da dosso. Dipende.
Del 2013 mi porto i loro sorrisi infantili, sono anni ormai che li metto nello zaino. Li ripongo per primi. In questo modo si mescolano con tutto,  si diluiscono; le cose belle diventano più belle, e le cose brutte mi pesano meno. Non lascio nemmeno uno dei sorrisi, ci penserà lo scorrere del tempo a farmeli perdere per strada. Ho preso anche qualche loro lacrima, per non dimenticare che sono state per colpa mia.
Mi porto dietro i libri che ho letto, perché sono l’ossigeno della mente, la finestra da aprire per farla respirare. Mi porto le pagine che scrivo e il risveglio di queste dita, perché sono la porta e la cura delle mie inquietudini. Metto dentro la musica che mi fa ancora piangere e risveglia nella memoria i ricordi che avevo nascosto premurosa.
Ho ficcato nello zaino un anno intero di speranze, quelle soddisfate, le incompiute e quelle che hanno tutta una vita davanti per sorprendermi. Le ho messe con le paure, perché porto anche quelle. La paura della morte e il terrore che mi soffoca di notte quando penso a tutte le possibilità che esistono di soffrire. Anche se li lasciassi indietro so che mi seguirebbero, agganciati alla cerniera dello zaino, come un portachiavi. Forse sono quello. La chiave che mi apre la porta della felicità. La notte che ho più paura precede il mattino in cui sono più felice perché conosco il valore che ha un minuto di vita regalato.
Mi porto dietro le morti dei miei cari, dai primi ricordi fino alle mani fredde.
Anche la morte di chi ha lasciato un’impronta nella storia, perché purtroppo soltanto le morti ci riecheggiano quello che avevamo dimenticato. In vita cambiarono il corso dell’umanità, e noi, smemorati, abbiamo bisogno della loro morte per ricordare.
Vorrei abbandonare, ma non posso, il tempo perso sbirciando nell’esistenza adulterata degli altri. Curiosità che ci ruba a morsi le giornate. Ma ormai ci siamo così tanto condivisi che siamo diventati indispensabili. Che ne sarebbe di noi se col chiarore di un nuovo giorno smettessimo di esistere per gli altri...
Lascio indietro, ma non dimentico, i visi di chi ha come tetto il cielo, di chi ha deciso di bruciare consumato dalla disperazione, di chi ha più di quello che si merita, così vicino a chi non ha niente, i visi di chi muore in mani di chi ama, di chi sparisce mentre altri festeggiano, di chi non ha madre ne padre, di chi proclama ipocrita sul calvario di altri.
Ho messo dentro i miei dolori. Quelli guariti li lascio indietro, non mi servono oramai. Mi porto quelli segreti, gli incurabili, quelli che vivono sotto la pelle e non risanano più. Alcuni pesano, altri sono diventati uguali ad una macchia sullo zaino, non si pulisce ma è ormai leggera.
Mi porto gli amici, quelli di sempre, che mi aiutano quando ciò che non posso allentare mi curva la schiena. E i nuovi, che mi fanno sorridere e pensare che la gente può essere buona.
Ho messo nella sacca le conversazioni spezzate della sera e i racconti davanti una bottiglia di vino. Perché solo intercalando con il silenzio di un bicchiere pieno si possono raccontare e ascoltare alcune storie. Mi porto i suoi singhiozzi senza rumore e la sua mente frastornante, colma di immagini, parole e preoccupazioni, perché so che sono l’unica bisaccia dove può svuotare una esigua parte del suo pesante fardello.
Ho preso il mio lavoro, che non mi ha fatto lamentare un solo giorno di averlo scelto.
Non voglio rinunciare a quasi niente. Anche se ci stanno appena voglio portarmi dietro la mia invidia, che quando passa mi lascia un po’ più saggia; e la mia presunzione, che mi insegna, quando viene contestata, che sbaglio quasi sempre.
Ho deciso di lasciare indietro le persone che mi intristiscono. Che mi ricordano quello che non voglio essere e mi lasciano l’amaro in bocca, perché so che ambisco (e mi rincresce) di essere ignorante davanti a chi vende la sua vita come felice senza sapere che non lo è.
Entrerò con i due piedi nell’anno nuovo. Con lo zaino pieno di me. Con i baci che non pesano e i turbamenti che feriscono le spalle. Con le mani occupate afferrando altre mani.
Nessun anno è un anno in più, ma uno in meno. Un anno in meno per vivere, per essere tristi o felici. Un anno in meno per amare, per abbracciare, per baciare e per ridere. Una parola che non diremo più se non la diciamo oggi. Ma c’è ancora tempo. Il prossimo minuto è il momento perfetto per dire “ti amo”.


Buon Anno 2014.  

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