giovedì 1 maggio 2014

Musica

Tu dicevi sempre che ascoltando la nostra canzone avrei sentito arrivare i tuoi baci da dietro le spalle. Anche se fossi stata lontana, nonostante il passare degli anni. Mi dicevi bisbigliando, mentre il tuo fiato mi sfiorava il collo: “Ascolta, senti bene la musica, perché non potrai dimenticarla mai”. Avevi ragione tu.
Lasciasti nella mia anima una spina avvelenata. Con un veleno infinito, per il quale non si muore, ma si vive stregati per sempre. La pozione dell’amore proibito che svanisce soltanto con la morte. Sento i tuoi baci che arrivano con la brezza del pomeriggio a baciarmi la nuca, a farmi solletico sulla pelle. Sento le punte delle tue dita che mi accomodano i capelli dietro le orecchie.
 Le gambe mi portano non ricordo già dove, perché la mente mi ha portato talmente lontano da farmi perdere per le strade. Perché i miei occhi non vedono i marciapiedi, vedono i miei piedi accanto ai tuoi; e le mie mani  non toccano l’aria ne toccano niente, se ne sono già andate dove abita il ricordo.
Così, un sorriso quasi nascosto e gli occhi di un altro mi portano la tua brezza. Credevo che il veleno fosse scomparso, in realtà si era solo diluito nel sangue e negli anni. Dietro quegli occhi ho visto i tuoi, quello che non dicono, quello che promettono. E la mia pelle ha risposto alla chiamata, piena di paura, avvolta nella tua musica.
Ascolta... Ho sentito le note così familiari che mi sfiorano come le tue labbra sulla commessura delle mie. La melodia, le parole, così nostre, come se le avessimo scritte noi, mi fan male come un pugno sul ventre. Chissà perché la bocca dello stomaco sussulta e freme ogni volta che un sentimento ci piomba dentro, come se l’anima abitasse proprio lì, poco più giù del cuore, adagiata sull’ombelico e alimentandosi di quello che trafigge la nostra pelle senza chiederci il permesso.
La vita non è stata ingiusta. Siamo stati noi a non rendere giustizia a quello che avevamo. E ora ritorni con un altro sguardo. Blu, (diverso dal tormentato pozzo nero con il quale mi guadavi) che mi osserva presagendo un futuro che io e te sapevamo a memoria.
Mentre il vento mi porta i tuoi baci e li aggroviglia nei miei capelli ho guardato la sua bocca. No è come la tua, ma mi sono chiesta curiosa, se quelle labbra diverse bacino come lo facevi tu.
Sento brividi alla schiena, la musica mi accarezza ogni vertebra, come piccoli baci, come gocce di pioggia che scivolano sulla pelle. Cammino e i miei piedi volano sopra l’asfalto.  La melodia è entrata dentro di me e mi sta strappando piano ogni respiro. Mi ruba il tuo ricordo, lo fa volteggiare intorno a me e lo porta via, come foglie secche.
Avevi detto: “Per sempre”. E io ti avevo creduto. Per questo, sopra il mio ombelico dorme la pena che si sveglia con la nostra musica e mi fa venir da piangere. Per questo, quando cammino e il vento mi accarezza, ti respiro nelle raffiche autunnali. Per questo, quando vedo i suoi occhi e il suo sorriso, tutto gira, mentre danzi intorno a noi sorridendo e canticchiando: “Vivilo, afferralo, lasciati spogliare l’anima”.
Chissà perché la pena e l’amore vivono insieme, dormono abbracciati e fanno il bagno nelle stesse lacrime, chissà perché la musica apre sempre una porta segreta e li libera allo stesso modo.
Tu dicevi sempre che ascoltando la nostra canzone avrei sentito arrivare i tuoi baci da dietro le spalle. Anche se fossi stata lontana, e nonostante il passare degli anni. Sento i tuoi baci che arrivano con la brezza del pomeriggio a baciarmi la nuca, a farmi solletico sulla pelle...


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