Con indiscutibile irruenza, il calcio bussò con i piedi
infangati alla nostra porta, fece un buco nel legno, da dove uscì con premura
la mia pazienza senza neanche guardarsi indietro, e, sporcando tutti i muri
dell’ingresso, rimase con noi senza troppi convenevoli.
Nel corso di questi anni il calcio è entrato negli armadi
(in modo disordinato, caotico, invadente). E’ entrato nella televisione
(subdolamente, con piccole trattative all’inizio e con dittatrice imposizione,
poi). E’ entrato nel cibo (che prende diverse forme di consumo in base agli orari
di ritrovo o alla visione ineludibile dell’incontro in TV). E’ entrato nella
lavatrice e impietoso nel calendario.
Dopo tre anni, inutile negarlo, è entrato anche nel cuore.
Come quando guardi le foto, come quando sfogli ricordi. Ti
sembra che fossero piccoli e ora grandi. Che sia passato un secolo, la vita
intera. Anche se, in effetti, per loro tre anni sono una bella fetta e alla fine
più grandi si sono fatti per davvero.
Sono diventati bravi, che noi per bravi intendiamo che
qualche partita si vince, e che quando si perde lo si fa degnamente, che non è
roba da poco, considerando che quando eravamo partiti non ci era molto chiaro
se il gruppo avrebbe giocato a calcio oppure al lancio dei coriandoli. Quindi, l’arrivare
dove siamo ora può ben significare “essere diventati bravi”, ecco.
Sono cresciuti fuori, ma più ancora dentro. Merito di nuove
conoscenze e rapporti, di innumerevoli docce e tante, tante corse. Merito di
quei meccanismi preadolescenziali così efficienti nel fare del male e del bene
contemporaneamente e indiscriminatamente.
Hanno imparato quest’anno cosa vuol dire separarsi. Hanno
provato l’incredibile sensazione del distacco e della tristezza, della forza
degli abbracci e della sorta di magia che si vive versando insieme le stesse
lacrime.
Sono stati capaci di restare insieme. Di gioire insieme. Di poggiarsi
il braccio sulle spalle, di consolarsi a vicenda, di farsi confidenze, di
difendersi tra loro, di attaccarsi e chiedere scusa.
Ora vi sentite più grandi, e mentre vi guardate le ginocchia
sbucciate rischiate di prendervi troppo sul serio. Forse noi rischiamo di
essere i primi a farlo.
Tre anni fa eri in porta e ballavi. Qualunque cosa capitasse
noi ridevamo e tutti voi saltellavate.
Ballate ancora, bambini. Non smettete di saltare e divertirvi.
Così, anche se è vero che le vittorie si conquistano con il duro lavoro e l’impegno,
a casa non porterete solo qualche medaglia ma la certezza di esserci riusciti perché
vi tenevate per mano.
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